martedì 9 novembre 2010

GUIDO ROSSI: CRESCITA IMPOSSIBILE E FINE DEL PROGRESSO

Intervista di Carla Ravaioli a Guido Rossi – «il manifesto», 31 ottobre 2010.


Ripresa, rilancio della produzione, aumento del Pil, crescita... Questi sono gli strumenti insistentemente indicati da economisti, governanti, industriali, politici, per il superamento della crisi. Che ne pensa?

Il mio parere è molto preciso. Ritengo che ci sia veramente un errore di fondo nello scopo finale di tutte le politiche, che è quello del progresso economico. Come ha appena detto lei, gli economisti non pensano ad altro: aumentare produzione e produttività, a tutti i costi. Così quella che era la molla fondamentale del capitalismo, il progresso economico, è diventata molla fondamentale di tutti i sistemi; e al capitalismo di mercato si è aggiunto il capitalismo di stato. Vedi la Cina: dove accadono esattamente le stesse cose di sempre, a detrimento dei più deboli. Mentre dovunque quelli che Bobbio chiamava «diritti di seconda e terza generazione », con questa accelerazione del progresso economico a tutti i costi, vengono selvaggiamente conculcati. Come dice Robert Reich nel suo Supercapitalismo, «è stata sostituita la tutela dei diritti dei cittadini con la tutela dei consumatori».

Ormai lo scopo è quello di creare sempre più benefici per i consumatori a scapito dei tradizionali diritti al posto di lavoro, alla sicurezza sul lavoro, alla pensione. Noti che lo sviluppo economico come fondamento dell’attività umana è presente anche nell’ultima enciclica di Ratzinger; in cui si sostiene che la globalizzazione serve a un progresso economico che poi si diffonde tra tutti i popoli. Che non è vero. E non è vero che - come si dice - sono scomparse le ideologie. Di fatto se n’è creata una nuova, che ha ucciso tutte le altre.

E questo inseguimento forsennato della crescita continua mentre la crisi ecologica (conseguenza proprio di un produttivismo insostenibile, per quantità e qualità) sta toccato livelli di rischio difficilmente reversibili, come afferma l’intera comunità scientifica. Possibile che personaggi di tutto rispetto - potentissimi manager, grandi industriali, economisti di fama mondiale, ignorino tutto ciò?

Il fatto è che appunto il problema prioritario rimane sempre quello della crescita e dello sviluppo economico, a cui tutto il resto viene sacrificato. E, attenzione, vengono sacrificate non solo le questioni di cui parlava lei, ma anche problemi come la fame nel mondo. Che dal 2007 si fa sempre più grave: ora si parla di un miliardo di persone sottoalimentate; e nessuno se ne occupa. Veramente l’ideologia dello sviluppo economico cancella qualunque problema che riguardi qualità della vita e diritti umani, mentre crea guerre senza senso... Si crea una società di cui l’unico scopo è il dovere di crescere economicamente: d’altronde in base a parametri del tutto sballati, come il Pil, che non considerano affatto la qualità della vita.

Ma, anche dando per scontato che questi signori siano del tutto disinteressati al sociale, di che cosa credono siano fatti automobili, computer, cellulari, grattacieli, armi… Non gli passa par la testa che sono «fatti» di natura e che se la natura va in malora la stessa cosa capita alla loro produzione?

No, non gli viene in mente. E le spiego perché. Perché è un problema che riguarda il futuro, mentre il presente è quello della crescita, del profitto immediato...


E però anche questo viene messo a rischio dagli eventi più recenti. Quella del Golfo del Messico è una catastrofe economica quanto ambientale.

Non c’è dubbio. Anche su questo sono d’accordo. Quando arriva la catastrofe poi se ne accorgono. E allora che fanno? Insistono sugli stessi schemi che hanno provocato la catastrofe: non hanno altro in testa. La letteratura apocalittica descrive tutto questo. Alcuni libri del genere mi hanno spaventato. Come Portando Clausewitx all’estremo di René Girard, il quale dice: «il riscaldamento climatico del pianeta e l’aumento della violenza sono due fenomeni assolutamente legati». E questa confusione di naturale e artificiale è forse il messaggio più forte contenuto in questi testi apocalittici. Martin Rees, grande astronomo di Cambridge, con Our final Century (Il nostro secolo finale), dubita che la razza umana riesca a sopravvivere al secolo in corso, proprio perché sta distruggendo il pianeta. E cose simili le dice anche Posner nel suo libro Catastrofe: con una popolazione mondiale che, secondo i calcoli, nel 2050 ammonterà a più di 9 miliardi di individui, ci saranno tremendi rischi di carestia: la terra non può dare più di quello che ha.


E queste cose si sanno. Ci sono anche economisti che criticano in qualche misura il capitalismo, ad esempio le grandi disuguaglianze sociali, la distanza tra lo stipendio di un manager e il salario di un operaio... Però nessuno pensa di rimettere in discussione il sistema, sperano di poterlo emendare...


Perché l’ideologia non lo permette. È una fede. Questi sono dei talebani, non può farli cambiare... Ma il guaio è che questa sorta di riconoscimento del capitalismo come un dato di fatto immodificabile, sembrano ormai condividerlo anche a sinistra…
Certo, perché hanno scelto il riformismo, ormai quella è l’ideologia che ha vinto. Ed è un’ideologia che sta prendendo piede anche nelle religioni: non a caso ho citato l’ultima enciclica di Ratzinger.


Perché poi pensano che la crescita possa dare benessere a tutti quanti. Ma ormai è dimostrato che questo non accade. Se l’1% della popolazione del mondo detiene il 50% del prodotto...

Certo. Ma lei dimentica un’altra cosa. Che il 51%, e oramai anche più, della ricchezza mondiale è nelle mani delle grandi corporations, e a condurre l’economia non sono più gli stati: gli stati non contano più niente. Quindi chi comanda? Le grandi imprese. Hanno in mano la maggiore ricchezza del pianeta: devono sopravvivere e comandare. E allora... Guardi cosa succede alla delocalizzazione delle industrie che, pur di sopravvivere fanno di tutto, sconquassano le economie e i diritti e non gliene importa niente... L’arretramento della politica è dovuto proprio a questo fatto: che l’economia ha conquistato un predominio assoluto.


A questo punto le sinistre, che seppure faticosamente continuano a esistere, non dovrebbero considerare questa realtà, rifletterci su? Magari ricordando errori del passato; come il fatto che, per paura della disoccupazione tecnologica, il progresso l’hanno regalato al capitalismo: mentre la minaccia della crescita senza lavoro avrebbe potuto essere usata per ripensare l’intero rapporto tra produzione e vita... Ma hanno lasciato tutto in mano al capitale.


Dopotutto il progresso l’ha inventato lui… e se l’è tenuto ben stretto…


Be’ per la verità l’ha inventato la scienza....

La quale è comandata dalla stessa ideologia…

Anche perché hanno bisogno di finanziamenti... Però all’origine delle grandi trasformazioni tecnologiche c’è il pensiero di uno scienziato...

Non si può dimenticare comunque che non mancano intellettuali che discutono di queste cose... Amartya Sen ad esempio dice che non si può ridurre la democrazia al voto… che occorre una democrazia di larga discussione. E arriva a sostenere che con la discussione si eviterebbero le catastrofi naturali.

Le catastrofi naturali - come Lei ha detto con tutta chiarezza - non si evitano finché il prodotto continua a crescere. Perciò mi stupisco che neanche i pochi consapevoli della gravità della situazione ecologica, non trovino il coraggio di dire: basta crescere. Cioè basta capitalismo.

Basta capitalismo. Ma con che cosa lo si sostituisce?
Nessuno ha un’idea in testa. Questa è la verità.

Eppure forse oggi non sarebbe impossibile farsela venire. La globalizzazione è un fatto che nessuno più nega. E certo esiste una globalizzazione economica ... e una globalizzazione culturale operata dai mezzi di comunicazione di massa... Ma non esiste una globalizzazione politica.

E non esiste una globalizzazione giuridica tra l’altro. Questa è a grande differenza con la globalizzazione di tipo medioevale, regolata dalla famosa Lex mercatoria, una legge elaborata dai mercanti, non da un singolo stato: e per suomezzo il commercio funzionava. Adesso le grandi imprese lavorano tra di loro. Non c’è più una norma giuridica che ne disciplini i comportamenti: nei confronti della fame nel mondo, dello sfruttamento delle classi più povere, del lavorominorile, della sicurezza sul lavoro che secondo Tremonti è un lusso. E ovviamente nemmeno nei confronti del pianeta.

E questo non si deve anche al fatto che una volta le sinistre facevano opposizione, e ora non la fanno più? O quanto meno la fanno solo riguardo ad alcune situazioni; le quali d’altronde non possono essere risolte a prescindere dal contesto generale. Come si diceva, la globalizzazione è una realtà governata dal grande capitale. Ma nessuno tenta di regolarla, e nemmeno di capirla. Sinistre comprese.


Ma la ragione c’è. Le sinistre hanno continuato a ragionare fino a quando esisteva il comunismo, che costituiva un’ideologia contrapposta a quella del capitalismo, e in qualche modo proponeva delle soluzioni alternative. Dopo la caduta del muro di Berlino cambia tutto. Questa è la verità. La politica sparisce, l’economia ha il sopravvento e s’impone come politica. Le sinistre accantonano il marxismo.

Dunque una sinistra organizzata di qualche peso non esiste. Però (pongo anche a Lei una domanda rivolta ai precedenti intervistati) esiste una massa di movimenti, di piccole e grosse aggregazioni di base, che in complesso, sebbene separatamente, vanno denunciando le peggio iniquità e assurdità del nostro mondo, tutte in pratica riconducibili alla logica del capitale. Pacifismo, femminismo, ambientalismo, colti magari in un solo aspetto dei singoli problemi (acqua, nucleare, Afghanistan, donne violentate, precariato giovanile, ecc. ecc.): non crede rappresentino in complesso quella che potrebbe essere la base per un grande rilancio di un’opposizione valida? Ma le sinistre non ci provano nemmeno…

Non ci provano perché manca l’ideologia unificatrice. Il marxismo è nato quando il capitalismo da mercantile è diventato industriale, e Carlo Marx ha elaborato un’ideologia completamente nuova. In questi anni, analogamente, si è verificata una nuova rivoluzione, la rivoluzione finanziaria. Contro la quale occorrerebbe una nuova ideologia. Il brasiliano Unger, filosofo del diritto di Harvard, in un libro molto bello, Democrazia ad alta energia, dice che, invece di garantire quella finta libertà contrattuale che sta alla base della rivoluzione finanziaria, occorrerebbe un’autorità mondiale capace di imporre nuove regole, e creare così le basi di una struttura diversa, a dimensione globale.

Ecco, non le pare che le sinistre dovrebbero pensare qualcosa del genere, magari sollecitando un incontro tra i non pochi intellettuali di valore che hanno trattato la materia …Io da tempo penso a una Bretton Woods del XXI secolo...

Ma non basta più. Vuole la mia opinione? Rischiando l’accusa di leninismo? Bisogna fare la rivoluzione. La rivoluzione russa è quella che ha cambiato l’ideologia del capitalismo industriale. Qui se non c’è una rivoluzione vera cosa si fa?

Se lei parla di rivoluzione, tutti pensano subito ai cannoni… secondo il modello storico…


Che non è più possibile, ovviamente...


Appunto. Per questo parlavo di BrettonWoods, nel senso che occorrerebbe una iniziativa a livello mondiale, con l’autorità di imporre questi problemi, che sono noti ma non vengono affrontati.

Sì, la cosa dovrebbe partire dalle Nazioni Unite, l’ho scritto più volte…

Perché l’Onu dopotutto alcuni tentativi seri li ha fatti. A proposito di ambiente, sulla fine del secolo scorso ha promosso un paio di grossi convegni, molto più efficaci dei tanti che sono seguiti... E più volte, nei suoi Rapporti sullo sviluppo umano, ha preso posizione contro il consumismo, contro il Pil come misura di benessere, contro la guerra come soluzione dei problemi… E Ban Ki Moon si è spinto fino ad auspicare un contenimento del Pil…

Be’ sì. In fondo, dopo la dichiarazione dei diritti dell’Assemblea generale dell’Onu del ’48, qualcosa è accaduto: come dopo la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Solo qualcosa di simile potrebbe cambiare la situazione: una rivoluzione di tipo mondiale, organizzata dalle Nazioni Unite, in cui si ridefiniscano i veri diritti, i principi per una vita diversa da quella voluta dal potere economico, e quindi una vita orientata dalla politica e non dall’economia. Poi mi accuseranno di essere un utopista… Però io credo che l’utopia sia decisamente meglio dell’apocalisse: che è l’alternativa che ci aspetta.

Guido Rossi è stato ordinario di diritto commerciale nelle Università di Trieste, Ca' Foscari di Venezia, Pavia e Milano, ed Emerito nell'Università L. Bocconi, poi docente di Filosofia del Diritto nell'Università Vita- Salute San Raffaele. Presidente della Consob dall’81 all’82, eletto senatore per la Sinistra Indipendente nella X Legislatura (1987- 1992), ha promosso le legislazioni antitrust, sulle Opa e sull'insider trading. Nell’89 ha sovrinteso ad operazioni finanziarie come l'acquisizione del Credito Bergamasco da parte del Crédit Lyonnais. È stato alla presidenza Ferfin-Montedison, e in seguito una prima volta alla guida della Telecom Italia. Ha tutelato per un anno gli interessi della banca olandese Abn Amro. Nel maggio 2006 è diventato, in seguito a «Calciopoli», commissario straordinario della Federazione Calcio. Vi rimarrà solo tre mesi. Il 15 settembre 2006, dopo le dimissioni di Marco Tronchetti Provera, viene nominato di nuovo presidente di Telecom Italia, incarico che lascerà nell’aprile 2007. Nel 2008 è consulente della Fiat nel tentativo di rilanciare la società in crisi. È direttore della Rivista delle Società dal 1975. È autore di diversi volumi tra i quali «Trasparenze e vergogna. Le società e la borsa», Il Saggiatore, 1982; «Il ratto del Sabine», Adelphi, «Il conflitto epidemico», Adelphi; «Capitalismo opaco» (con Federico Rampini), Laterza, 2005; «Il gioco delle regole», Adelphi, 2006, «Il mercato d'azzardo », Adelphi, 2008; «Perché filosofia», Editrice San Raffaele, 2008.

mercoledì 3 novembre 2010

LE 10 STRATEGIE DELLA MANIPOLAZIONE MEDIATICA

Un Chomsky apocrifo. Alla maniera di Noam Chomsky vengono descritte le “10 Strategie della Manipolazione” sociale attraverso i mass media.


1 - La strategia della distrazione. 

L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).


2 - Creare il problema e poi offrire la soluzione.
Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.


3 - La strategia della gradualità
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.


4 - La strategia del differire. 
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.


5 - Rivolgersi alla gente come a dei bambini. 
La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).


6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione.
 Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….


7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità
Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori" (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”). 


8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. 
Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti... 


9 - Rafforzare il senso di colpa. 
Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione


10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

FONTE:
www.visionesalternativas.com